di Antonino Giacomo Marino
La settimana della memoria, alla luce del
rapporto con l’ “altro”, non si può ridurre semplicemente al ricordo rituale
della shoah o del porrajmos, ma dovrebbe diventare un’occasione di autentico
approfondimento del fenomeno del razzismo.
Foto di Paula Kajzar |
Hitler
non si è inventato niente, ha applicato in modo violento l’ideologia razzista
che fu postulata molto tempo prima da menti “eccellenti” sostenendo la
divisione dell’umanità in diverse razze e la superiorità della razza
occidentale su tutte le altre.
Il famoso sociologo francese Alain
Touraine nel libro curato dal suo
allievo Michel Wieviorka dal titolo “Racisme
et Modernité”, pubblicato nel 1993,
sostiene chiaramente che il razzismo è «una
malattia sociale della modernità».
Il principale storico del razzismo George L.
Mosse nel suo saggio “Il razzismo in
Europa, dalle origini all’olocausto”, (pubblicato nel 1978) attraverso una esemplare analisi
storica, individua l’origine del razzismo nell’ambiente culturale
dell’Illuminismo e ne segue lo sviluppo nei vari movimenti europei
dell’Ottocento e del Novecento fino a giungere alle conseguenze estreme dell’esecuzione
di massa degli ebrei. Mosse chiude la sua opera con il capitolo dal titolo “Una
conclusione che non conclude” e in questo ultimo brano dichiara: “La storia del razzismo da noi narrata ha
contribuito a spiegare la soluzione finale. Ma il razzismo stesso è
sopravvissuto e non è diminuito il numero di coloro che pensano secondo
categorie razziali… Inoltre, nazioni che avevano combattuto contro il
nazionalsocialismo hanno continuato ad accettare l’idea dell’inferiorità
razziale dei neri ancora molti anni dopo la fine della guerra …”.
Sicuramente
è difficile ammettere che la nostra cultura occidentale, considerata il “baluardo”
della civiltà, abbia generato il
razzismo; ma le cose stanno proprio così, anche se non si dice.
Le basi fondamentali della cultura
occidentale moderna nascono nel secolo XVIII con l’Illuminismo. Il secolo dei
“lumi” celebra il trionfo della Ragione sviluppando le idee per la liberazione
dell’uomo da ogni soggezione servile e quindi affermando i valori della
uguaglianza, della fratellanza e della libertà, ma nello stesso tempo sviluppa
l’ideologia del razzismo.
Tracce di questa ideologia si possono
rinvenire nei secoli XVI e XVII ( protorazzismo) e nelle epoche precedenti, ma
gli esperti sostengono che la sua articolazione matura si svilupperà solo nel
secolo XVIII.
I padri dell’illuminismo da Kant a Voltaire
fino a Montesquieu, come pure molti grandi pensatori dell’Ottocento,
furono gli autorevoli sostenitori dell’ideologia razzista come si può notare
dai loro stessi scritti.
Il grande studioso dell’antisemitismo Léon
Poliakov nella sua opera del 1976 dal titolo
“Il mito ariano. Storia di
un’antropologia negativa” così scriveva di Voltaire “Per lo storico, il paradosso o l’enigma che si incontrano in Voltaire,
sono costituiti dal fatto che egli resta nel ricordo degli uomini, il
principale apostolo della tolleranza, a dispetto di uno spietato esclusivismo a
cui non si saprebbe dare altra qualifica che quella di razzista e di cui i suoi
scritti sono una testimonianza altrettanto valida della sua vita”.
Perché
l’ideologia razzista si è sviluppata in seno alla cultura moderna occidentale
contraddicendo di fatto l’idea dell’uguaglianza universale del genere umano?
Gli studiosi del razzismo rispondono a questo
interrogativo sostenendo che l’ideologia razzista con la quale si affermava la
superiorità della razza occidentale e in particolare della borghesia rispetto alle altre “razze” è stata
indispensabile alla stessa borghesia per affermare che i valori universali
dell’uguaglianza e della libertà erano riferiti solo alla razza superiore
bianca ossia a se stessa. In questo modo la borghesia occidentale si assicurò
la sua sicura ascesa e una supremazia assoluta. Con l’ideologia razzista la
borghesia occidentale riusciva a giustificare, in un solo colpo, il
colonialismo, lo schiavismo e tutti i
suoi privilegi rispetto alle classi più povere, naturalmente anche di quelle
occidentali.
Lo storico Giuliano Gliozzi nel suo libro “Adamo e il nuovo mondo” sostiene che “la teoria della razza settecentesca andrebbe
definita, più che un’ideologia schiavistica, un’ideologia della divisione
internazionale del lavoro, imposta dalla borghesia, un’ideologia in grado cioè,
di far passare come naturali e perciò immutabili, le diverse forme di subordinazione
e di sfruttamento - dal commercio alla schiavitù- imposte alle popolazioni
coloniali dalla borghesia europea”.
Anche se in una dimensione più ridotta e con
le dovute differenze ci sembra che la teoria di Gliozzi si possa applicare a
quello che oggi succede con i rom, gli immigrati e in generale le persone più
deboli .
Nonostante tutto, la speranza di sconfiggere
il razzismo esiste: perché se è vero che la cultura occidentale ha generato
l’ideologia razzista, è anche vero che questa ha pure generato il movimento
antirazzista che, con alterne vicende, ha contrastato questa terribile “malattia
sociale”.
Ma il razzismo subirà una vera sconfitta quando la Scuola, l’Università e tutte le
agenzie educative cominceranno a far
conoscere la vera natura del razzismo
attraverso le opere dei ricercatori. Come dice George Mosse “il primo passo verso la vittoria su questo
flagello dell’umanità consiste nel rendersi conto di quale ne sia stata la
causa, di quali aspirazioni e speranze esso abbia suscitato nel passato.” Ma
pure di quello che suscita, controlla e muove, nel presente.